Domenico di Michelino

Piazza del Duomo Firenze

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Questo ritratto di Dante, dipinto da Domenico di Michelino (ma per anni erroneamente attribuito all’Orcagna) e intitolato “La Commedia illumina Firenze”, è diventato un’icona estetica. Basato su un disegno perduto di Alesso Baldovinetti, l’affresco mostra Dante in piedi di fronte a raffigurazioni dell’Inferno, Purgatorio e Paradiso. Per questo lavoro Domenico venne pagato 155 lire (ora circa 3500 euro o 4000 dollari) e lo terminò nel giugno del 1465, in occasione del bicentenario della nascita di Dante.

Il poeta, in abiti tradizionali, tiene tra le mani il suo capolavoro e guarda verso la città di Firenze.

Sopra di lui si notano le sfere del Paradiso. Sullo sfondo compare la montagna del Purgatorio, dove sono facilmente identificabili l’Eden, il muro di fuoco (dentro il quale Dante salta dopo che Virgilio gli ricorda Beatrice), l’angelo custode e numerose anime penitenti. Il poeta indica, infine, l’Inferno, sede di tutti i mali. Lungo il bordo inferiore, si legge:


Qui cœlum cecinit, mediumque imumque tribunal,
lustravitque animo cuncta pœta suo,
doctus adest Dantes, sua quem Florentia sæpe
sensit consiliis ac pietate patrem.
Nil potuit tanto mors sæva nocere pœtæ
quem vivum virtus, carmen, imago facit.

Ecco egli che cantò il cielo, il tribunale di mezzo e quello dell’abisso, il poeta che li esaminò tutti nella mente: il dotto Dante, il quale è spesso riconosciuto dalla sua Firenze come un padre per la sua sapienza e la sua pietà. Nemmeno l’altezzosa morte poté offendere il poeta, giacché la sua virtù, il poema e questo ritratto lo rendono immortale.


L’affresco che vedete qui in realtà ne sostituisce uno precedente la cui storia ci svela quanto Domenico dovesse aver avuto in mente. Il dipinto originale fu commissionato circa 30 o 40 anni prima da uno dei frati dell’Ordine minore dei conventuali che desideravano un ritratto di Dante da collocare a Santa Maria del Fiore affinché i cittadini di Firenze non dimenticassero il grande poeta, le cui spoglie mortali erano a Ravenna. Era corredato da 13 versi poetici, trascritti da Bartolomeo Ceffoni che in quel luogo aveva presenziato alle letture dantesche nel 1430:



La mano

Onorate l’altissimo poeta
ch’è nostro, e tiellosi Ravenna,
perché di lui non è chi n’abbia pieta.

Dante

Se l’alto posse che dispone tutto,
Fiorenza, volse che ti fosse luce,
perché tua crazia in ver’ di me non luce,
che del tuo ventre so’ maturo frutto?

Il vecchio

O lasso vecchio, o me, quanto è chupito
la tua virtù sì alta, esser famata,
per dengnio sengnio nel fiorente sito,
ché or da’ cieli vegho nunziata
mia giusta vollia en cielo redimito,
ch’ancora in marmo la farà traslata