Il contesto politico
Nel 1088, Matilde di Canossa capì di aver bisogno di più alleati per non venire inglobata da Enrico IV. L’anno successivo, all’età di 43 anni, sposò Guelfo V (o II), Duca di Baviera, di 26 anni più giovane. Su suggerimento di papa Urbano i due sposi rinunciarono ad avere figli. Matilde fortificò il suo territorio con nuove truppe mentre la famiglia di Guelfo rafforzò la propria posizione nella lotta per le investiture (fu questa famiglia, e i suoi legami con il papato, che alla fine portarono i loro sostenitori ad essere chiamati Guelfi).
Nel 1105, Enrico IV abdicò in favore del figlio Enrico V che resse l’Impero Romano per i primi 25 anni del nuovo secolo. Il nuovo imperatore dimostrò un interesse semplicemente utilitaristico verso Italia, ovvero il “giardino dell’impero” (come dice Dante in Purgatorio VI.105). Entrambi desiderosi di una tregua, Enrico V e Matilde si incontrarono in un castello sull’Appennino nel 1111. Al termine dell’incontro, Matilde aveva ottenuto il nuovo titolo di “Vicaria Imperiale e Vice Regina d’Italia” e riconquistò alcuni territori già rivendicati da suo padre. Matilde morì solo quattro anni dopo, lasciando che Firenze diventasse una repubblica di fatto.
Chi è l’imperatore?
Enrico V, ultimo della dinastia salica di Franconia, morì nel 1125 senza un erede maschio ma ebbe una figlia chiamata Agnese di Waiblingen. Enrico lasciò pertanto i suoi possedimenti a Federico II Hohenstaufen, figlio di Agnese. La successione reale, essendo irregolare, fu contestata da Adalberto, arcivescovo di Magonza e nemico di vecchia data Enrico.
Adalberto pensava che la monarchia stesse diventando troppo forte e convinse i nobili ad eleggere al trono Lotario. Si trattava tuttavia di un re eletto grazie a un compromesso politico che non sarebbe riuscito a mantenere saldo il potere per lungo tempo. Infatti, Corrado III, fratello minore di Federico II, nel 1128 fu incoronato a Monza Re d’Italia (in basso lo stemma della corona imperiale).
Corrado
Mentre l’imperatore Corrado era al trono, un giovane fiorentino chiamato Cacciaguida degli Elisei (ca. 1098 – ca. 1148) si unì all’esercito imperiale. Sebbene non fosse di origini nobili, Corrado gli conferì il titolo nobiliare per meriti militari. Cacciaguida prese parte a diverse battaglie imperiali e forse anche ai conflitti scaturiti dalla ribellione dei discendenti di Lotario, che vengono tradizionalmente considerati come il punto di rottura iniziale che poi sfociò nella divisione guelfo-ghibellina.
Nel 1147, Cacciaguida seguì l’imperatore nella sfortunata Seconda Crociata in Terra Santa, viaggiando con un gruppo di 20.000 uomini comandati da Corrado. Il loro piano era di marciare via terra fino ad Antiochia e lì incontrare i rinforzi francesi di Luigi VII prima di attaccare. Galvanizzato dal pensiero di conquistare gli infedeli, Corrado portò incautamente i suoi uomini in territorio turco poco dopo aver lasciato Costantinopoli. I cristiani furono perseguitati e sconfitti dall’esercito di Mesud I. Quando i nobili decisero di tornare indietro era troppo tardi. Iniziò così la Battaglia di Dorylaeum, uno scontro nel quale Corrado rimase gravemente ferito e Cacciaguida, molto probabilmente, morto.
Il Vecchio guerriero
Cacciaguida era il trisavolo di Dante. Nei tre canti centrali del Paradiso, il vecchio guerriero parla con il suo discendente dei valori dell’antica Firenze e li confronta malinconicamente con la corruzione dei tempi di Dante. (Vedi la rappresentazione di Doré, sopra).
Cacciaguida parla dei cambiamenti che inevitabilmente accompagnano il passare del tempo e usa le famiglie fiorentine come esempi. Questa stretta attenzione alla città e alla sua geografia è uno dei motivi per cui oltre metà delle lapidi di Dante in città riproducono versi di questa conversazione.
I bei tempi antichi
Il secolo XII, secondo quanto racconta Dante, era un periodo di pace e prosperità, dove gli uomini erano coraggiosi e risolutamente leali mentre le donne si prendevano cura dei loro figli.
Ovviamente un periodo così come descritto da Dante non è mai esistito. Tuttavia, il poeta aveva ragione su una cosa: il secolo XII aveva qualcosa di speciale. È stato senza dubbio un momento di innovazione e cambiamento.
Verso il cambiamento
Il tessuto sociale, dissolto nei secoli precedenti a causa delle invasioni e delle guerre, veniva ricostruito da nuove istituzioni non più a livello feudale o regionale come in passato, ma a livello locale. Il commercio iniziò a fiorire e Firenze inventò il proprio sistema di pesi e misure. Gli affari andavano a gonfie vele.
Infatti, all’inizio del secolo esistevano più di 130 castelli nelle campagne intorno a Firenze e il numero andava man mano crescendo. Non si trattava di cupi avamposti difensivi dei vassalli, come ai tempi dei Longobardi (sebbene facessero spesso parte di famiglie nobili). Ogni castello poteva contare sui vicini agricoltori che all’occorrenza diventavano soldati. A poco a poco, piccole città come Firenze, Pisa o Lucca, acquisirono tutte le componenti necessarie per difendersi e persino per trasformarsi in quella che in seguito sarebbe diventata una città-stato a pieno titolo.
Governo
Nacquero pertanto numerose organizzazioni: alcune di loro si ritrovarono a condividere problemi reciproci, e questo pose le basi per quello che successivamente prese la forma di organi di governo veri e propri. Il primo governo civico di cui si abbia testimonianza nei documenti esistenti risale all’anno 1138.
Ispirati dai ricordi della storia romana, i fiorentini crearono l’ufficio del Console per ciascuno dei sei distretti o sestieri della città. La mappa in basso mostra come sono stati creati i sestieri. La linea blu rappresenta le mura del 1258. I sei distretti sono: 1. Porta del Duomo; 2. San Pancrazio (o Brancazio); 3. San Piero Maggiore; 4. Borgo (o Santa Trinita); 5. San Pier Scheraggio; 6. Oltrarno. I consoli erano due per ciascun distretto. Tutti e dodici i consoli prestavano servizio insieme per un anno e rappresentavano l’organo di consiglio direttivo più alto della città.
Non abbiamo molte informazioni su come questi consoli venissero eletti, ma si può affermare che il sistema consolare era gestito da un gruppo di famiglie più anziane, più ricche e più potenti. Non esisteva ancora un municipio o un altro luogo di incontro ufficiale, e per questa ragione i consoli solevano tenere le loro assemblee in chiese o palazzi.
Sicurezza
Quella che potremmo definire la classe media non era ancora in grado di poter governare. Infatti, nel periodo in cui non esisteva alcuna forza di polizia, la sicurezza veniva garantita attraverso i legami delle famiglie con gruppi più potenti o con le consorterie, ossia i clan di due o più famiglie unite dagli affari e spesso anche da matrimoni. Violenze o reati perpetrati ai danni dei membri di una famiglia venivano comunemente risolti attraverso ritorsioni violente o vendette personali.
Espansione politico-militare di Firenze
Come altri comuni dell’Italia settentrionale del secolo XII, Firenze, a scopo difensivo e soprattutto per sentirsi meno minacciata dalle città limitrofe, cominciò a pensare ad una pianificazione di ordine militare. Solo la classe alta, soprattutto i nobili e pochi mercanti ricchi, potevano permettersi di affrontare una battaglia poiché disponevano di un’armatura ben equipaggiata e di un destriero. I poveri invece, che condividevano lo stesso obbligo civico di difendere la patria, costituivano la fanteria, la quale disponeva di ben poca formazione militare e ancora meno di armi.
Ogni volta che occupavano una città, i Fiorentini obbligavano i nobili di quella zona a vivere, almeno per un periodo di diversi mesi, all’interno delle mura di Firenze. Attraverso questo stratagemma essi sarebbero diventati a tutti gli effetti cittadini fiorentini: avrebbero garantito la loro lealtà a Firenze che in cambio li avrebbe protetti da possibili attacchi nemici. Nel frattempo, i confini della città-stato continuavano ad espandersi. Al terzo tentativo (1125), i Fiorentini riuscirono finalmente a conquistare anche Fiesole che distrussero quasi completamente
Urbanizzazione
Le grandi famiglie di proprietari terrieri discendevano in gran parte dai nobili germanici, come i conti Alberti o i conti Guidi, che vennero inviati in Toscana nel corso dei secoli per sorvegliare i loro feudi. L’espansione fiorentina fu presentata agli abitanti del contado come una scelta di libertà, sia dall’Impero sia dalla classe nobiliare che si stava letteralmente arricchendo a scapito del popolo.
Cominciarono a trasferirsi in città sia i nobili che il ceto meno abbiente. I primi avevano abbastanza ricchezze per comprare o costruire edifici e torri che garantivano loro una certa indipendenza. Quando possibile, sceglievano aree adiacenti ai loro parenti che poi diventavano centri di potere politico e commerciale. L’umile lavoratore o il commerciante che veniva in città non aveva però le stesse possibilità.
La “gente nova”
La casta nobiliare e Dante stesso non vedevano di buon’occhio questo immenso flusso di gente che dalla campagna si spostava verso la città. Pur diventando col tempo indispensabili alle ambizioni economiche e militari di Firenze, questi cittadini sono la gente nova, ossia i “nuovi ricchi” citati da Dante come responsabili della decadenza di Firenze:
“La gente nova e’ subiti guadagni / orgoglio a dismisura han generata, / Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni” (Inferno XVI.73-75).
Dante credeva che l’ambiente idilliaco della sua Firenze fosse stato sconvolto, sin dal 1100, dalle continue ondate di gente provenienti dalle attigue campagne, come fa raccontare a Cacciaguida nei tre canti centrali del Paradiso. A detta di Dante, Borgo – ma gli esempi sarebbero numerosi −, la zona appena a nord di Ponte Vecchio ma ancora fuori dalle vecchie mura, fu uno dei quartieri che andò in rovina all’arrivo della famiglia Buondelmonti.
Corporazioni
Non trascorsero molti anni prima che il dominio dei ricchi e delle loro organizzazioni venisse sfidato da altre entità con poteri simili. Fu il caso delle societas mercatorum (precursori delle arti o corporazioni) che erano principalmente costituite da persone della classe media.
La prima fu l’Arte di Calimala, fondata intorno al 1150. Prima della fine del secolo ne apparvero altre sei chiamate corporazioni, ognuna dedicata al proprio tipo di attività. Tutte insieme si contrapponevano alla gestione del potere esercitato dai nobili.
La reazione dell’Impero
Mentre Corrado III non si preoccupava molto di Firenze quando era ancora sotto il marchesato di Toscana (retto ufficialmente dai Welfs), le città più a nord incontravano parecchie difficoltà nel mantenere il loro status di città-stato semi-indipendenti.
Nel 1154, il nuovo imperatore Federico I (detto Barbarossa) attraversò le Alpi e si diresse verso Roma per essere incoronato. Lungo la strada, rivolse la sua attenzione a tutti i comuni autonomi dell’Italia settentrionale che si sarebbero dovuti per lo meno ridurre nuovamente sotto l’autorità imperiale. Tre anni dopo, aggiunse la parola “sacro” al Sacro Romano Impero.
Anche il Papato reagisce
Mentre Barbarossa stava lentamente restaurando l’autorità papale facendo riconvergere tutte le città-stato sotto l’egida imperiale, il Papa si rese conto di essere in pericolo se l’Impero non fosse riuscito ad arrestare il tentativo di ristabilizzare il proprio potere a sud delle Alpi.
Il papa in quel momento era Alessandro III. La sua strategia per resistere all’espansione del Barbarossa dipendeva dalle città-stato lombarde che si alleavano, lungo tutto il fiume Po, e formavano una sorta di barriera difensiva conosciuta come Lega Lombarda. Tra loro e lo Stato Pontificio c’era la Toscana, dove Firenze cresceva costantemente in ricchezza e dimensioni.
Le Leghe
Le città della Toscana e della pianura padana si trovarono bloccate tra due enormi potenze: l’Impero a nord e il Papato a sud. Matilde riuscì a proteggere la Toscana già in una situazione simile, ma i suoi territori erano molto grandi rispetto a quelli di una piccola città-stato.
Una volta che Firenze entrò a far parte della Lega Lombarda, e poi della Lega Toscana, dovette coordinare le sue azioni con quelle dei suoi vicini. Tuttavia, i leader della Lega commisero l’errore di accettare l’autonomia tra i propri membri. Ogni città-stato, respirando l’aria di indipendenza, iniziò a muoversi secondo i propri interessi.
Il caos
Questa situazione non fece altro che mettere villaggi contro villaggi e città contro città. Ogni entità combatteva per aumentare le dimensioni del proprio territorio. La Toscana era interamente militarizzata e divisa tra le sue principali città: Pisa, Lucca, Pistoia, Firenze, Arezzo, Siena.
Mentre queste città tentavano di strapparsi reciprocamente il potere, dovevano anche affrontare i malumori interni. Nel 1177, per esempio, gli Uberti iniziarono una lotta di tre anni per prendere il controllo di Firenze con l’aiuto di altri sostenitori dell’Impero. In generale, Firenze e Lucca si appoggiavano più tradizionalmente al Papato, mentre Pisa e Siena erano quasi sempre sostenitori della famiglia Hohenstaufen e del suo Impero.
Il podestà
Durante questo periodo i Fiorentini decisero che il loro sistema di dodici consoli non era un modo ideale per auto-governarsi. Venne pertanto sostituito con il podestà, un individuo che per dodici mesi aveva in mano tutto il potere. La parola deriva dal latino potestas, che era il titolo ufficiale dato dall’Imperatore Barbarossa al capo dell’amministrazione delle città. Il nuovo esperimento era già in vigore nel 1193, anno in cui sappiamo che un solo uomo deteneva tutto il potere.
Come si può immaginare i Fiorentini decisero che era troppo rischioso dare il potere assoluto in mano ad una sola persona. Così, invece di avere uno dei loro cittadini come podestà, stabilirono che per svolgere questo incarico ci si sarebbe dovuti rivolgere solo a rispettabili individui provenienti da fuori Firenze che avrebbero giurato di governare con completa imparzialità.