Sopra: Ritratto di Dante nel Corridoio degli Uomini Illustri a Palazzo Medici Riccardi
Gli Ordinamenti di Giustizia
Nel 1293 vennero approvati gli Ordinamenti di Giustizia. Si trattava di una serie di provvedimenti promulgati da Giano della Bella che limitavano il potere dei nobili (magnati) a favore del ceto mercantile.
Il termine “magnate” originariamente si applicava solo ai valorosi guerrieri di sangue blu ma ai tempi di Dante era già associato a una serie di qualità negative che venivano ritenute dannose per la repubblica. Una volta che il governo basato sulle corporazioni etichettava una famiglia come “magnate”, ai suoi membri non era più permesso di prenderne parte.
I Magnati
Venne pubblicato un elenco che conteneva i nomi di 70 famiglie considerate magnati (e tra questi certamente alcuni pensarono subito di ricorrere a un colpo di stato pur di non perdere completamente il potere). I seguaci di Giano sembravano determinati a mantenere il controllo della città nonostante le crescenti tensioni. Ai già esistenti sei priori se ne aggiunse un settimo, chiamato il Gonfaloniere di Giustizia, il cui compito era di guidare il collegio dei Priori contro le eventuali infrazioni dei magnati. Nel 1289 fu incorporato anche il Consiglio dei Cento, che era un nuovo dipartimento del governo destinato a rafforzare la supervisione finanziaria.
Nei due anni successivi, il numero dei magnati crebbe a tal misura che il termine non corrispondeva più a nessun singolo gruppo demografico. I magnati erano ricchi e poveri, nobili e non nobili, di vecchie e di nuove famiglie. Nel frattempo, Corso Donati se l’era cavata solamente con una multa per aver ucciso il servo di suo cugino. Questa mancanza di responsabilità causò diverse rivolte nelle strade. Infine, una volta scoperto che Giano stava progettando di impossessarsi della città con la forza, il governo lo esiliò e, così facendo, distrasse la gente dal caso di Corso Donati.
La Vita Nova
Mentre Corso Donati faceva sapere che egli si considerava il capo dei “magnati ingiustamente trattati” (infatti era sopranominato il Barone), Dante si accingeva a scrivere il suo primo libro, la Vita Nova. Nel libro Dante parla del suo complicato amore verso Beatrice, dal loro primo incontro quando lei aveva nove anni fino alla sua morte avvenuta nel 1290. (Sopra: Ezio Anichini. Dante incontra Beatrice).
Fu questo il libro che il Romanticismo trasformò nella storia d'amore tra un giovane poeta e la bellissima Beatrice, storia che terminò tragicamente a causa della prematura morte della giovane donna. Che si tratti di una cosa vera è difficile da dire, tuttavia questa anacronistica versione della vicenda tra i due è preservata nella chiesa di Santa Margherita.
Dante ci racconta in un’altra opera, il Convivio, che fu soprattutto negli anni successivi che iniziò il serio studio della filosofia. Nel 1295, anno in cui fu fondata Santa Croce, Dante, dopo un intenso periodo di contemplazione e studio, partecipò di nuovo al governo della città. Per fare ciò, ovviamente, era necessario appartenere ad una corporazione. Quella scelta dal nostro poeta fu l’Arte dei Medici e Speziali. Se da una prospettiva moderna questa scelta di Dante sembra strana, si ricordi che all’epoca, medici e speziali, conoscevano tutti molto bene la filosofia. Infatti, nei documenti della corporazione del 1297, la specializzazione professionale di Dante era semplicemente elencata come poeta.
Una nuova divisione politica
Tra i magnati, all’indomani degli Ordinamenti di Giustizia, si formarono due partiti politici opposti. Vieri de’ Cerchi (che, pur provenendo originariamente dalle campagne, era stato anche dichiarato magnate), aveva importanti interessi commerciali e accesso alla ricchezza. Consigliava di portare pazienza e, essendo una figura di spicco, divenne subito il capo di una nuova organizzazione politica: i Guelfi Bianchi. E di questo Dante ne era sicuramente felice.
Corso Donati, che già disprezzava Vieri de’ Cerchi, era convinto che le cose si potessero risolvere solo facendo ricorso alle armi. Quelli che la pensavano come lui si unirono al gruppo di Corso che in seguito prese il nome di Guelfi Neri.
I problemi di Corso Donati
Nel 1298-99, Corso, nonostante fosse un magnate, riuscì in qualche modo a rientrare nel governo ma si ritrovò di nuovo sommerso di problemi. Portò in tribunale sua suocera e, avendo corrotto il podestà che aveva in mano la sentenza, riuscì a farsi dare tutte le sue proprietà.
Questo evento, insieme ad una serie di altre riprovevoli azioni, scatenò l’indignazione generale e Corso venne alla fine mandato in esilio. Durante la sua assenza la famiglia dei Cerchi guadagnò gradualmente il potere.
Bonifacio VIII
A quel tempo il papa era Bonifacio VIII, colui che è ripetutamente menzionato in tutta la Commedia come uno dei principali nemici della giustizia (e anche il soggetto dell’ultima enunciazione di Beatrice a Dante in Paradiso). Quando Celestino V decise di abdicare (si ricordi il “gran rifiuto” in Inferno III.60), Bonifacio VIII gli successe al soglio pontificio e dopo aver fatto sequestrare il suo predecessore lo fece torturare a morte. (Sopra: Bonifiacio VIII al museo del Duomo).
Fu in quel periodo che Bonifacio VIII, con il “consiglio fraudolento” di Guido da Montefeltro (Inferno XXVII), espandeva i territori papali impadronendosi di Palestrina. Desideroso di mettere le mani sulla politica fiorentina, il Papa accettò di aiutare Corso mandandolo per un anno a fare il podestà ad Orvieto e poi un anno ancora a fare il legato papale altrove.
Carlo di Valois
Gli Angioini, dopo aver perso la Sicilia che andò in mano agli Aragonesi, implorarono Bonifacio VIII di aiutarli a riprendersi l’isola. Nel 1299, anno della fondazione di Santa Croce, il Papa invitò Carlo di Valois (fratello del re Filippo il Bello di Francia) a spostare le sue truppe in Italia in modo da costituire un nuovo esercito per difendere la Sicilia.
Carlo accettò, ma Bonifacio aveva già dichiarato il Giubileo del 1300, il che significava che ci sarebbero stati migliaia di pellegrini sulle strade (incluso Dante) diretti a Roma. Qualsiasi invasione sarebbe dovuta essere stata rinviata all’anno seguente. (Sopra: ritratto di Carlo di Valois eseguito da Arnolfo di Cambio, ca. 1277, Musei Capitolini di Roma).
Un giorno di maggio
A questo punto era chiaro ai Cerchi che Corso avrebbe cercato di ingraziarsi Bonifacio VIII per poter tornare a Firenze in cambio di qualche ruolo nel futuro politico della Toscana, e per questo rimasero fermamente contrari all’ingerenza di Bonifacio nella politica fiorentina. Il clima era pertanto molto teso.
Il primo maggio del 1300, in Piazza Santa Trinita, si tenne una piccola festa per accogliere l’arrivo della primavera. Come era comune in quei tempi, si erano formate alcune fazioni contrapposte che presto si scontrarono tra di loro. Durante questa zuffa uno dei Donati, con un secco colpo di spada, tagliò di netto il naso di un membro dei Cerchi.
La decisione di Dante
Essendo in carica come priore nell’estate del 1300, Dante si trovò di fronte a un serio dilemma. Fu proprio durante il suo periodo di sei mesi al governo che la questione dei conflitti tra Cerchi e Donati venne portata all’attenzione del Priorato. Piuttosto che concentrarsi strettamente sulla rissa di maggio, ai priori fu chiesto di prendere delle decisioni che riguardassero anche gli anni precedenti.
Sfortunatamente, dato che Corso Donati aveva tentato di assassinare Guido Cavalcanti mentre quest’ultimo era in pellegrinaggio, e poiché anche Guido cercò a sua volta di uccidere Corso, ai priori fu chiesto di esiliare Guido, insieme ad altri piantagrane di entrambe le parti. Purtroppo, sebbene Guido fosse uno dei più cari amici di Dante, il poeta dovette mandarlo via per il bene della patria. Guido fu esiliato in una zona paludosa dove contrasse la malaria e dove morì solo pochi giorno dopo il suo arrivo.
Il colpo di stato
Come conseguenza del disastro del Primo Maggio, il Papa mandò a Firenze il cardinale Matteo d’Acquasparta con l’incarico di pacificare le due fazioni. Matteo era tuttavia una pedina di Bonifacio nel piano di Corso Donati al fine di conquistare la città con la forza. In diverse occasioni il buon cardinale fu aggredito dai Bianchi e uscì illeso da un tentato omicidio. Dopo questi fatti, e dopo aver capito che a Firenze avrebbe concluso molto poco, decise di andarsene. Nell’ottobre del 1301, il Papa ordinò al cardinale di tornare a Firenze, dove si incontrò con Carlo di Valois e con numerosi alleati della famiglia Donati e dei Guelfi Neri. Gli studiosi concordano che in questo periodo Dante fosse a Roma per convincere Bonifacio VIII a lasciare Firenze in pace. Carlo ottenne il permesso di entrare in città e giurò di essere imparziale, ma solo pochi giorni dopo venne nominato un nuovo podestà fantoccio portato da Gubbio. Era la fine del governo fiorentino. Nonostante l'automatica condanna a morte concessa a tutti gli esuli che tornavano senza autorizzazione, Corso rientrò a casa, intento a prendere in mano le redini della città.
Esilio
Sapendo che i Guelfi Neri stavano cacciando i Bianchi (e altri), Dante probabilmente pensò che non fosse sicuro tornare a Firenze. Meno di due mesi dopo, fu pubblicato il primo editto di esilio su cui era scritto anche il nome di Dante. Nel marzo del 1302, venne aggiunta anche una sentenza di morte sul rogo. Dante era accusato di corruzione, frode, spergiuro, tangenti, estorsioni, furti e perfino pederastia.
Punto di non ritorno
Sebbene inizialmente Dante avesse sostenuto alcuni Guelfi Bianchi esiliati che volevano ritornare a Firenze con la forza delle armi, si rese presto conto che questo tentativo sarebbe stato inutile e che la situazione politica era semplicemente impenetrabile. Non volendo ammettere di aver commesso alcun tipo di reato, Dante non riuscì mai ad accettare alcun compromesso. In cambio, il suo divieto di rientro a Firenze non fu mai revocato.
Il padre di Petrarca, anch’egli esiliato, si recò ad Arezzo per iniziare una nuova vita. Dante, al contrario, continuò a girovagare. Per quasi due decenni, il nostro poeta si spostò da un posto all’altro, a seconda della benevolenza di chi lo avrebbe ospitato. Dopo aver completato la Commedia e altre opere, Dante morì in esilio all’età di 56 anni.