Dante nacque nella Firenze ghibellina nel 1265. I suoi genitori erano Alaghiero, un guelfo che pare si guadagnasse da vivere con l’usura, e Bella, era una lontana parente della famiglia ghibellina degli Abati.
Primi anni
Firenze, come la stessa famiglia di Dante, pur essendo una città divisa, era il fulcro di ogni sorta di attività economica. Tecnicamente ghibellina fin dalla Battaglia di Montaperti, il governo di Firenze subì un terribile colpo politico nel periodo in cui Dante fu battezzato a San Giovanni. Manfredi, l’ultimo campione dell’Impero, era stato sconfitto nella Battaglia di Benevento ed era solo questione di tempo prima che il Popolo e i Guelfi eliminassero per sempre i loro nemici dalla città.
Firenze, seguendo il consiglio di papa Clemente IV, consegnò per un anno il suo governo ai cosiddetti Frati Gioviali (1266-67). Il loro compito era quello di mantenere la pace mentre il Popolo veniva ristabilito. I Guelfi desiderosi di vendetta non furono ostacolati dai due frati mentre il popolo distrusse diversi isolati, compresi quelli degli Uberti. Gran parte dell’attuale Piazza della Signoria venne creata abbattendo le case delle antiche famiglie ghibelline degli Infangati e degli Uberti, che vivevano dove oggi si trovano gli Uffizi.
La città
Dopo Montaperti, i Ghibellini cacciarono 1500 Guelfi da Firenze. Sotto i Frati Gaudenti, circa lo stesso numero di Ghibellini furono esiliati. Alla fine del 1267, coloro che stavano al potere appartenevano alla classe più ricca, alla media borghesia urbana e ai Guelfi nobili, come gli Adimari, i Buondelmonti, i Cavalcanti, i Tornaquinci e i Bardi (che gestivano la più grande società bancaria del momento).
Carlo d’Angiò
Il Papato aveva richiesto l’intervento in Italia di Carlo d’Angiò per tentare di eliminare ciò che restava dell’Impero. L’impresa fu un successo: Carlo sconfisse Corradino nella battaglia di Tagliacozzo nel 1268. Anche i cronisti contemporanei erano addolorati nel descrivere la fine del giovane Corradino, tradito e decapitato per mano del re francese.
Al termine del periodo di governo dei Frati Gioviali, Firenze decise di concedere un mandato di dieci anni come podestà a Carlo d’Angiò, rappresentato dai suoi luogotenenti. Carlo abolì immediatamente il Capitano del Popolo e i Buonomini, sostituendoli con le élite guelfe. Nel suo ristretto circolo aveva ammesso anche i capi delle più grandi famiglie bancarie della città, in particolare i Bardi. È il caso di dire che il potere stava incontrando i soldi. Lo stemma di Carlo (sotto) fu aggiunto alla balaustra di Palazzo Vecchio in riconoscimento del decennio durante il quale egli fu il podestà.
Sulle sponde dell’Arno
Il nuovo papa, Gregorio X, si trovò subito in una situazione piuttosto complessa. Temendo che gli Angioini potessero semplicemente prendere il posto degli Hohenstaufen e innescare altre guerre, Gregorio si trovò paradossalmente a sostenere tiepidamente i Ghibellini a Firenze, se non altro per tenere occupato Carlo.
Nel 1273, Gregorio dichiarò di voler visitare Firenze per suggellare un accordo di pace tra Guelfi e Ghibellini. Questo evento, descritto molto meglio dove spieghiamo la lapide in Piazza de’ Mozzi, si rivelò in definitiva infruttuoso perché i Ghibellini sapevano che sarebbero stati uccisi se non fossero fuggiti.
Sopra: Ary Scheffer, Dante incontra Beatrice, 1851
Dante incontra Beatrice
Se crediamo in ciò che scrive nella Vita Nova, Dante incontra Beatrice meno di dodici mesi dopo, nel 1274, lo stesso anno in cui morì San Tommaso d’Aquino. Tre anni dopo, la carica di podestà di Carlo giunge al termine. Gli Angioini erano a questo punto ben finanziati e i loro territori in Toscana e in Sicilia circondavano efficacemente lo Stato Pontificio.
Gli anni giovanili
Intorno al 1270, a Firenze vi fu un enorme sviluppo economico. Le banche fiorentine prestavano denaro non solo a Carlo, ma anche al Papa. Quando Dante aveva 15 anni, la popolazione di Firenze era aumentata a circa 80.000 abitanti, cinque volte più grande di quanto non fosse ai tempi di Cacciaguida: aveva così raggiunto un numero troppo elevato per essere adeguatamente protetta.
Con l’economia in forte ripresa e con l’uscita da Firenze di alcuni Ghibellini (dopo la visita di Papa Gregorio X), i Fiorentini iniziarono a progettare la nuova cinta muraria. La decisione di cominciare un progetto che sarebbe potuto durare diversi decenni, insieme al fatto che Arnolfo di Cambio e Giotto contribuirono alla prima fase della costruzione delle mura, dimostrò un vero ottimismo civico. Dante sicuramente si sentiva molto orgoglioso di essere un fiorentino. La sua città era coinvolta in affari di massima importanza; anzi, era l’invidia di re e papi.
L’adolescenza di Dante
Nel 1280 fu raggiunto un solido accordo di pace tra i Guelfi e i pochi Ghibellini rimasti in città. Due anni dopo, Firenze accettò di far ritornare tutti gli ex esuli Ghibellini, ad eccezione dei figli di Farinata. Questa profonda mancanza di compassione deve aver fortemente impressionato Dante, anche se si sentiva fervidamente guelfo fin dalla tenera età.
L’armonia di quei primi anni sarebbe stata presto sconvolta dall’arrivo (che ha rattristato Cacciaguida) di nuovi clan, tra cui i Cerchi, gli Albizzi, i Peruzzi e i Frescobaldi. Nel frattempo, diverse famiglie precedentemente ghibelline (Portinari, Strozzi) riuscirono a sopravvivere arrangiando matrimoni di favore con la fazione opposta.
Corporazioni
La rapida crescita economica di Firenze, che iniziò quasi cento anni prima, fu alimentata dall’invenzione della contabilità bancaria e della partita doppia. Pur non essendo ancora una società che permetteva una certa mobilità sociale, certamente offriva all’individuo medio maggiori possibilità di arricchirsi di quante non ne avesse offerte il feudalesimo.
Grazie proprio alla specializzazione del lavoro, le corporazioni stavano crescendo a un ritmo eccezionale. All’inizio del secolo c’erano sette Arti. Nel 1282, erano aumentate a 21 e ciascuna era altamente organizzata. Le principali corporazioni erano chiamate Arti maggiori e le altre minori. Ciascuna di loro cercava di proteggere i propri membri implementando standard e misure di sicurezza sfruttando i propri poteri davanti ai giudici e al governo. Le cose rimasero così fino al 1282, quando scoppiò la rivoluzione in Sicilia e l’attenzione di Carlo si allontanò dalla Toscana.
I Priori delle Arti
Il Priorato delle Arti, chiamato anche Priorato della Signoria, era la principale struttura amministrativa delle corporazioni stesse, una sorta di consiglio di funzionari eletti all’interno delle principali Arti della città. Col tempo, le corporazioni divennero talmente autosufficienti e potenti che, quando si presentò l’occasione, incorporarono il proprio governo nella costituzione della città-stato. Poiché Arezzo e Guido da Montefeltro (intrappolato nelle fiamme in Inferno XXVII) credevano ancora nella causa ghibellina in Toscana e in Romagna e dato che Carlo stava affrontando una rivolta popolare all’altra estremità della Penisola, credettero che fosse arrivato il momento giusto per riprendersi Firenze.
Prima del cambio, il governo era gestito da un podestà straniero, dai Buonomini (12 funzionari eletti, due da ciascuno dei sestieri della città) e dal Capitano del Popolo (una specie di “capo della polizia” in ognuno dei 20 quartieri). In seguito, il Priorato delle Arti si trovò in cima alla piramide, anche sopra il podestà.
Sotto: lo stemma del Priorato (entrato in vigore nel 1458), visibile anche sulla balaustra di Palazzo Vecchio
L’idea era semplice: il Priorato era composto da sei uomini che lasciavano le loro famiglie e si trasferivano nella Torre della Castagna per vivere e lavorare insieme per un periodo di sei mesi. Partecipavano agli affari della città e, alla fine di quel periodo, eleggevano il gruppo successivo di sei e così di seguito. Nel 1282, Folco Portinari (padre di Beatrice) era uno di quei sei (proprio come Dante lo sarà nel 1300).
Colpo di fulmine
Nel 1283 ebbe luogo una serie di nuovi eventi che iniziarono intorno al periodo della festa di San Giovanni Battista (patrono di Firenze) il 24 giugno. Molte famiglie abbienti organizzarono parecchie feste che potevano durare anche più giorni. Alla prima festa, tenuta in piazza Santa Felicita nella zona Oltrarno, la famiglia Rossi accolse centinaia di ospiti, tutti vestiti di bianco, che si riunivano intorno ad un personaggio mascherato da dio dell’Amore. Musicisti, ballerini e giullari intrattenevano cavalieri e signore delle classi più alte e del popolo. Questa festa venne denominata la Corte d’Amore e durò per più di due mesi.
È probabile che Dante (ai quei tempi già nel diciottesimo anno di età) abbia visto Beatrice per la seconda volta in una di queste feste. Poco dopo iniziò a scrivere la Vita Nova. Sappiamo con certezza che queste furono le settimane in cui scrisse il famoso poema di apertura di quell’opera: A ciascun’alma presa, che descrive la sua attrazione verso Beatrice. Mandò quel sonetto a pochi amici: Guido Cavalcanti, Cino da Pistoia e Dante da Maiano. Per tutta risposta, Guido replicò che Dante si era innamorato; Dante da Maiano gli suggerì invece di farsi una doccia fredda. In ogni caso, Dante sposò Gemma Donati solo 24 mesi dopo.
Firenze al massimo del suo splendore
I Domenicani, avendo gettato le fondamenta del loro nuovo monastero nel 1279, fecero lo stesso anche per la chiesa di Santa Maria Novella nel 1283. L’anno successivo la Badia fu completamente rinnovata e, non molto tempo dopo, le prime quattro porte della nuova cinta muraria vennero portate a termine. Nel 1284 venne coperta anche Orsanmichele e subito dopo la gente cominciò ad attribuire eventi miracolosi alla Madonna dipinta sul muro interno.
Carlo intanto stava subendo una serie di battute d’arresto in Sicilia. Dopo la sua morte avvenuta nel 1285, l’isola tornò ad essere un regno indipendente e Firenze tirò un sospiro di sollievo. Pronti nuovamente per tornare all’offensiva, i Fiorentini misero gli occhi su Pisa e Arezzo, città che erano ancora nella salda morsa dei Ghibellini. Nel 1287, quando il governo ghibellino degli Aretini espulse i loro nemici guelfi dalla città, Firenze vide la possibilità di un attacco. Trasformarono il malcontento in un desiderio di guerra.
Campaldino
Nel 1288, il padre di Beatrice, Folco Portinari, completò il progetto dei suoi sogni, ovvero l’ospedale di Santa Maria Nuova. Sfortunatamente, morì l’anno successivo. Dante piange la morte di Folco nella Vita Nova e usa il suo funerale come un elemento per rendere Beatrice ancora più angelica.
A giugno dell’anno seguente il clamore per la supremazia guelfa portò finalmente i soldati sul campo di battaglia. I fiorentini prepararono il carroccio, la martinella e i loro uomini. Tra le loro fila c’era anche Dante. Dopo aver attraversato l’Arno, le truppe percorsero l’attuale via di Ripoli in direzione di Arezzo, dove oggi è ancora presente un monumento e un appezzamento di terreno di proprietà della città di Arezzo.
Sotto: il monumento alla battaglia ubicato a Campaldino
La vittoria
Nel 1289 Dante combatté con i Guelfi fiorentini che prevalsero sui Ghibellini di Arezzo nella sanguinosa Battaglia di Campaldino. Molti dei personaggi che vi presero parte li troveremo poi nella Divina Commedia. Corso Donati, futuro leader dei Guelfi Neri, sferrò l’attacco finale alle truppe di Bonconte da Montefeltro, consegnando così la vittoria ai fiorentini. Vieri de’ Cerchi, che sarebbe diventato il capo dei Guelfi Bianchi, era in mezzo alla mischia pur essendo stato ferito. Presumibilmente non molto lontano da Dante vi era anche il poeta Cecco Angiolieri.
In quello stesso anno, i Fiorentini ripulirono amministrativamente il loro sistema di corporazioni e abolirono la servitù della gleba. In seguito Villani ricorderà quei tempi come il vero inizio della repubblica democratica di Firenze. Purtroppo, Beatrice morì l’anno successivo.
I cavalieri
Mentre in questo periodo il commercio era in forte crescita, spesso il sistema proto-capitalistico di Firenze trasferiva la ricchezza a famiglie inaspettate (come spiega Dante in Inferno VII). Non appena qualche clan perdeva di prestigio, il suo posto veniva immediatamente preso da altre famiglie di origini più umili. L’intelligenza e la fortuna, più che la nascita nobile, determinarono chi dovesse godere di denaro e potere.
Per i membri dell’antica nobiltà, questo corrispose naturalmente ad una grande perdita di prestigio e di privilegi. Corso Donati, come molti altri, esigeva un riconoscimento speciale basato sul fatto che i cavalieri (e quindi tutta la cavalleria) erano stati essenziali nella vittoria di Campaldino. Atteggiamenti come questo erano abbastanza comuni, ma la lista degli abusi perpetrati dai nobili sul comune individuo cresceva a dismisura.
Giano della Bella
Giano della Bella fu uno dei pochi aristocratici che non si schierò mai dalla parte dei nobili (e per questo Cacciaguida avrebbe pensato a lui come a un traditore). Sebbene appartenesse ad una vecchia famiglia ben in vista e fosse membro dell’Arte di Calimala, Giano era determinato a porre fine alla classe da cui proveniva. Contribuì a riportare nel sistema di governo le nove corporazioni più importanti che erano state escluse, aumentando il loro numero totale a ventuno e ampliando sostanzialmente la sua base politica.